C’è una prima volta per tutto. L’anno scorso sono stata per la prima volta al Festival di Venezia. Per certi versi è stato come quando ho visto il mio primo film di Sergio Leone; per altri è stato come quando ho avuto il battesimo di sangue del Cinepanettone, in una satolla serata post-natalizia a 12 anni. Qui al Lido ho sentito giornalisti parlare di “The Master di Paul Thomas Wes Anderson”, ho visto piccioni planare assassini nelle sale stampa, minacciando tutti noi, Spike Lee compreso, col loro carico di pupù. Ho visto produttori addormentarsi alle conferenze stampa dei film che loro stessi avevano finanziato, donne sfilare sul red carpet vestite da divani, ma soprattutto ho visto Spring Breakers. Converrete che questa miscela di traumi ha fatto di me una reduce. La mente umana reagisce in modo curioso e inaspettato ai traumi. Certi reduci di guerre e catastrofi si suicidano, ma altri danno una ripulita alla loro psiche scrivendo libri, ad esempio. Atri ancora si rifugiano in hobby e attività tra le più bislacche, per tenere a bada la mente. Banderas, dopo Zorro, si è messo a fare i biscotti. E io? Dal primo giorno nella città dei capelli crespi, ho capito che la mia testa bionda avrebbe dovuto sfogare i suoi acidi da qualche parte, così ho scelto la forma del blog. È nato Morte a Venezia e ora, a distanza di un anno, rieccomi nella Piccionaia d’Italia, a scrivere Cozze e Gondole. Cercherò di raccontarvi quello che gli altri non vi raccontano, con la promessa che tutto quello che leggerete qui è assolutamente vero. È una precisazione doverosa, questa, perché qui succedono cose a cui ci si rifiuta di credere. Esempio: mettiamo che io debba andare su un red carpet, in una delle manifestazioni cinematografiche più importanti del mondo. Quale copricapo scegliere? C’è chi a questa domanda risponde: una gabbia. E qui mi fermo, per oggi, perché non ce la faccio a continuare.
Venezia70 – Cozze e Gongole: Morte a Venezia e resurrezione
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