La vita di noi amanti di Harry Potter è piena di lacrime amare e cocenti delusioni. Dal compimento dell’undicesimo anno di età, aspettiamo con ansia l’arrivo della nostra lettera di ammissione a Hogwarts, la cui mancata consegna ci costringe ad ammettere a denti stretti, anno dopo anno, la nostra irreversibile e trisissima natura Babbana. Non è bello e non è facile, soprattutto quando è Settembre e sai che la scuola comincia e tu non ne farai parte, come Di Caprio con gli Oscar. Oggi, però, il mio Settembre è stato illuminato dalla presenza, qui al lido, del Maghetto per eccellenza, Mr. Daniel Radcliffe. La mia vestizione di questa mattina, in vista del grande evento, ha richiesto più tempo del solito: bisognava mettere subito le cose in chiaro con Daniel, in conferenza stampa, dargli un segnale inequivocabile della mia sempiterna e fedelissima appartenenza alla casata Serpeverde. E allora eccomi, con 40 gradi all’ombra, solcare l’asfalto del Lido dall’alto della mia elegante camicia di seta nerissima, a maniche lunghe, con il crine biondo platino fieramente allisciato. Ho sudato più di Jabba The Hut, ma andava fatto. Quando l’ho finalmente incontrato, dopo l’iniziale spaesamento nel vederlo senza sfregi in testa, mi sono resa conto di non aver mai visto, mai, in tutta la mia vita, una persona così pallida. Non tanto la faccia, ma le braccia: sembra rivestito di calamari. Mi sono dunque convinta che Lord Voldemort sia in realtà sopravvissuto dentro di lui, nutrendosi della sua melanina. Ho avuto conferma di questa possessione nel momento in cui le pareti vetrate della sala conferenze hanno iniziato a tremare, scosse da terribili, ritmiche, rumorose convulsioni. Mi ci è voluto poco a capire la situazione e ad esserne terrificata. Avete presente i film di zombie? I sopravvissuti chiusi in un luogo piccolo e facilmente espugnabile, orde di non-morti fuori che muoiono (ahah.) dalla voglia di entrare. Noi addetti stampa ci trovavamo nella medesima situazione: chiusi dentro la sala con il pezzo di carne più desiderato del circondario, e orde di persone fuori a reclamarlo, battendo urlanti sulle pareti. Il problema è che gli zombie sono molto più mansueti delle fangirls. E corrono anche di meno, a quanto pare. Appena Radcliffe si è allontanato dalla sala, naturalmente dall’uscita secondaria, le adolescenziali mani che fino a un secondo prima si spiaccicavano sulle pareti trasparenti si sono volatilizzate. Un’onda rapidissima fatta di ormoni e decibel si è riversata sulla strada, seguendo la traiettoria dell’attore, e noi siamo rimasti lì, ancora intontiti, a cercare di capire cosa fosse successo. Certo che, ogni tanto, una Nimbus 2000 farebbe comodo.
Venezia70 – Cozze e Gongole: Experto Attorum
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