Come definire un figaccione? Come misurare, in termini quantitativi, il suo coefficiente di figaccionità? Esiste un metro di giudizio, seppur soggettivo, che possa aiutare ogni donna a stilare la sua personale graduatoria di figaccioni? Queste le domande che da tempo mi assillano. E mi assillano perché (vi darò uno scoop) finita Venezia il mio blog continuerà e si occuperà, di tanto in tanto, di questi esemplari di essere umano con cui la Natura è stata vergognosamente benevola. A forza di pensare, ho infine trovato l’unità di misura che cercavo, e che aiuterà noi femmine a stendere una patina scientifica sui nostri collassi ormonali, nonché a quantificare l’entità dei danni al nostro apparato riproduttivo: questa unità di misura prende il nome di Manzitudo. Partiamo dal postulato-base: non esiste, nel vocabolario, una parola che descriva il tipico figaccione meglio di Manzo. Ha una pregnanza di suono e di significati, evoca con tale forza l’immagine del megabellone, che è semplicemente impossibile da sostituire. Di qui la Manzitudo. Ma veniamo all’argomento di oggi: sono reduce da un film e da una ravvicinata conferenza stampa con Tom Hardy. La sua Manzitudo è già considerevole se ammirata dalle foto o dallo schermo, ma dal vivo raggiunge livelli vertiginosi, aiutata anche da una strana contraddizione: Hardy ha l’aspetto di un truzzo di prima categoria, ma parla un raffinatissimo inglese britannico e ha sempre quella dannata faccia da cucciolotto.
Un piccolo pitbull che sgranocchia un muffin. L’essenza della pucciosità nell’involucro di uno scaricatore di porto. Come resistere? non si può. Soprattutto quando, in conferenza, ti rendi conto che è anche spiritoso ed affabile; soprattutto quando, in conferenza, complici la tua postazione in prima fila e i tuoi capelli di un colore non esattamente convenzionale, lui inizia a guardarti di tanto in tanto, e tu ti senti nuda davanti all’Occhio scrutatore che tutto vede, e vuoi solo prendere una pala e fare una buca e scomparire dentro di essa e riflettere sull’ineffabilità della Manzitudo. E dopo, cosa è successo? Dopo è successo che mi sono fiondata a farmi firmare un autografo, gli ho fatto i complimenti per l’incredibile performance del suo film veneziano (non solo Manzo, ma pure schifosamente talentuoso), lui mi ha ringraziata tanto e io ho sentito angeli britannici cantare God Save The Queen nella mia testa. Giusto per mettere in chiaro che l’effetto Hardy non ha colpito solo me, sappiate che le mie colleghe, appostate fuori dalla sala per fare una foto con lui, dopo lo scatto hanno iniziato a parlare lingue sconosciute al genere umano. Che altro devo dirvi? L’ultima, titanica fatica della giornata è stata scegliere l’immagine per questo articolo. Scrivi Tom Hardy su Google Immagini e ti si aprono le porte della Città del Peccato. Con grande fatica ho optato per la foto che vedete qui sopra, ma è stato come scegliere quale Caravaggio avere appeso in camera. Come è difficile la vita, qui al Lido. Vado a cercare una macelleria.