Irriverenti, pornografiche, sperimentali, eccessive, scioccanti e trasgressive: le opere di Bruce LaBruce, vietate in molti Paesi ai minori di 18 anni, sono state definite in tanti modi diversi, ma nessuno, prima d’ora, le avrebbe mai considerate dolci o leggere. Anche per la sua ultima pellicola, Gerontophilia, il regista decide di puntare su una tematica oltraggiosa, come quella dell’amore di un ragazzo verso un uomo anziano ma, differenza dei suoi precedenti film, che lasciavano alle immagini il compito di sconvolgere lo spettatore, LaBruce sceglie questa volta di confezionare un prodotto delicato, una commedia dai toni leggeri che, per la sua dolcezza, fa apparire il soggetto tutt’altro che scandaloso. Tuttavia, la semplicità e l’ingenuità con cui il regista affronta lo sviluppo del rapporto tra i due protagonisti non fa che indebolire la pellicola, affidata ad una camera che piuttosto che mostrare, preferisce lasciar intendere.
Il coraggio del regista nel trattare un tale tema non compensa la fragilità di una sceneggiatura ricca di interessanti spunti, purtroppo mai sviluppati. Così, dalla turbolenta relazione tra il giovane Lake e la madre, al passaggio dalla rapporto eterosessuale con Desiree all’attrazione fisica e mentale con Mr. Peabody, ogni questione rimane superficiale in Gerontophilia, pellicola presentata nella sezione delle Giornate degli Autori dalla settantesima edizione della Mostra di Venezia. L’uso eccessivo del rallenty e la scelta di un cast inesperto, eccezion fatta per Walter Borden, contribuiscono a sospendere l’opera in un limbo, dolce sì, ma dove tutto perde un po’ di colore.