Sono tre anni che vengo al Lido a fare la scribacchina e, per tre anni, ho creduto di avere un problema. Ora ho scoperto che il problema non è mio, ma è una piaga che, peggio dei selfie, affligge tutta la popolazione del globo – o per lo meno la popolazione del festival. Per dirla banalmente, il problema è che qui fa freddo. Ma non è che faccia freddo fuori: fa freddo dentro. Ma non è che dentro faccia un freddo normale: dentro fa un freddo da circolo polare artico che ti entra nella pelle come le siringate di botulino.
Vado a spiegare. La temperatura delle sale di proiezione si aggira attorno ai -58 gradi centigradi, tanto che mi aspetto di vedere, molto presto, addetti stampa che si fanno largo tra le poltrone facendo curling. I vergini da festival, quelli che sono qui per la prima volta, li riconosci alla prima occhiata: con la canottierina da Coachella Festival e il sandaletto in pelle di daino, li vedi tirare giù il decalogo di Kieslowski non appena fanno esperienza della tirannica escursione termica in sala. I più navigati, corazzati dagli anni di gelo, entrano alle proiezioni con la maglia termica di Decathlon e il giubbotto con cappuccio del ragazzino di South Park.
Ma se entrare nelle sale proiezioni è come andarsi a prendere un caffè da Elsa, è molto peggio (molto peggio) entrare in sala stampa. Entra in sala stampa e farai la fine di Jack Torrance nel labirinto di Shining. Non solo: già dall’anno scorso ho notato che il mio corpo reagiva male a quel luogo ma, sempre convinta che fosse un problema mio, ho taciuto. Ora è tempo di parlare, perché ho scoperto che anche questo è un problema comune: sarà che i soffitti della sala stampa sono tanto alti da farti sentire un Hobbit nelle miniere di Moria; sarà che le gigantesche finestre sono sempre serrate, in favore della spietata aria condizionata; sarà il numero stratosferico di computer che contiene, fatto sta che, dopo un po’ che si lavora lì dentro, succede di esser preda di terribili giramenti di testa. Quando dico terribili, intendo tipo l’attrazione di Disneyland delle tazzine di Alice in Wonderland.
E allora ti guardi intorno e vedi giornalisti con sguardi allucinati alla Paura e Delirio a Las Vegas, gente col colorito di Voldemort e povere, giovani donzelle surgelate e sgomente (tra le quali mi annovero) che sembrano la Hathaway dopo il tracollo psicofisico in Les Miserables.
E allora, caro Direttore Alberto Barbera, la abbassiamo ‘sta aria condizionata? Le apriamo un po’ ‘ste finestre giganti? La smettete di mettere la metanfetamina dentro i bocchettoni dell’aria condizionata in sala stampa? Grazie. #Maiunagioia.