Olive Kitteridge: una mini serie da Festival

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Il nome di una donna, Olive Kitteridge, e i 25 anni della sua storia sono valsi alla scrittrice Elizabeth Strout un Premio Pulitzer. I motivi per i quali la vita romanzata di Olive sia stata in grado di portare tra le mani della scrittrice il prestigioso riconoscimento sono accuratamente sparsi tra le pagine del suo libro preso in prestito, dopo il successo di serie nate da trasposizioni come Game of Thrones True Detective, dalla HBO per portare sul piccolo schermo l’ennesimo capolavoro televisivo di matrice letteraria. A dirigere i quattro episodi di Olive Kitteridge, che a inizio novembre andranno in onda in America per poi arrivare in Italia a metà gennaio grazie a Sky Cinema, c’è Lisa Cholodenko, cineasta già nota agli amanti dei serial per essere stata la regista, oltre che del lungometraggio I ragazzi stanno bene, anche di alcune puntate di amati show tv quali Six feet under e The L world.

Ambientato in una piccola realtà della provincia americana nel Maine, Olive Kitteridge ha come protagonista colei che dà il nome sia al romanzo che alla serie televisiva: Olive (Frances McDormand) è una donna dalla forte personalità, moglie di Henry, un farmacista benvoluto da tutti nella piccola realtà di Crosby, e madre di Christopher (John Gallagher Jr.) succube in qualche modo del difficile rapporto con la donna.

Oltre ad essere la matriarca di un ridotto nucleo familiare, Olive è anche un’insegnante, ma il suo non è solo un mestiere, bensì un’indole che la donna mostra nella sua quotidianità con parole e gesti. Fin dall’inizio della mini serie televisiva i personaggi sono presentati attraverso dei capitoli loro dedicati, con un notevole carico d’introspezione; veniamo così a conoscenza della realtà della minuta cittadina dove le persone, in un modo o nell’altro tutte legate a Olive, interagiscono con la sua vita e il suo carattere cinico e invadente.

Olive Kitteridge è forte di una produzione di altissimo livello dove, dalla regia alla fotografia di Frederick Elme fino ad arrivare alle malinconiche musiche di Carter Burwell, niente sembra essere fuori posto. Un lavoro suggestivo e carismatico come la sua protagonista, che si è inserito perfettamente nella programmazione di un Festival Internazionale come quello di Venezia e che nulla ha da invidiare ai più pomposi, e a volte addirittura meno meritevoli, film nati per il cinema. La HBO ha messo in piedi un progetto ambizioso all’altezza delle aspettative, che fa perno sulla grande interpretazione della McDormand e non stupisce che grandi di Hollywood, quali Tom Hanks e Gary Goetzman, spicchino tra coloro i quali hanno fortemente creduto in Olive, nel suo mondo antico e nella storia madre di piccole altre storie che hanno contribuito a rendere sempre più labile il quasi ormai inesistente confine tra la qualità della serialità americana e cinema d’Oltreoceano.

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