Ritratti Black & White: Julianne Moore

0
a classe 1960 non è acqua. E per classe 1960 intendo viso camaleontico, aria di giovane sfida e occhi che parlano: la nostra vecchia amica Julianne Moore continua incontrastata a mietere valanghe di feedback positivi. Gli ultimi anni la vedono impegnarsi in prestazioni altalenanti di ogni tipo, spaziando dalla commedia più spensierata al dramma puro: che sia la scuola di Altman col suo splendido affresco America Oggi ad averla educata ad una tale versatilità? Ma a conti fatti, ciò che emerge è soltanto un’ottima attrice che vanta fra le sue conquiste, oltre al già citato Robert Altman, registi del calibro di Paul Thomas Anderson, Alfonso Cuarón e dei fratelli Coen, cineasti dalle poetiche nettamente diverse che hanno trovato in lei il trait d’union per dare forma ognuno alla propria.

L’esordio tardivo e gli anni Novanta

Volendo tracciare un ideale excursus della carriera della Moore, non si può che rimanere perplessi nello scoprire la data del suo film d’esordio: il 1990, vale a dire l’anno del suo trentesimo compleanno. Ma come spesso capita, è così che nascono i migliori. Infatti già soltanto nel 1993 arriva per lei la svolta autoriale, con la proposta di partecipare al coralissimo e già citato America Oggi, uno spaccato impietoso delle contraddizioni degli Stati Uniti come solo Altman ha saputo crearne. Da quel momento per Julianne si apre un ventaglio di opportunità ma soprattutto si instilla in altre personalità di spicco del mondo dello spettacolo la curiosità di metterla alla prova: non dimentichiamo, per esempio, anche la piccola avventura con Spielberg nel suo sequel di Jurassic Park. Ma questi anni, segnati anche dalla commedia più leggera – come può esserla Nine Months -, sanciscono anche la collaborazione con Paul Thomas Anderson, per il quale reciterà in ben due film, e quella coi fratelli Coen, per cui interpreterà il ruolo di Maude nell’indimenticabile Il Grande Lebowski. Le parti si rivelano il più possibile distanti tra loro per sensibilità, background e spessore, rivelando al mondo la nascita di una vera e propria stella.

Gli anni Duemila: un’ulteriore prova artistica

Dopo aver chiuso in bellezza il decennio precedente col capolavoro Magnolia, che le valse il National Board of Review Award, la Moore approda alle atmosfere introspettive e dense di The Hours, interpretando una delle tre protagoniste del film, opera che vede dipanarsi la storia della Mrs. Dalloway woolfiana in tre epoche diverse. Qui la bella attrice dà ennesima prova di talento, immedesimandosi fino allo strenuo e delineando i contorni di un personaggio misterioso e discutibile a un tempo. Non si può tacere l’esperienza di quattro anni dopo con Cuarón, che le affida il ruolo di Julian nel sci-fi distopico I Figli degli Uomini: una parte dalle più disparate accezioni, in cui mischiare un tono drammatico ad un’atmosfera a tratti thriller. La Moore si cimenta in seguito in altre prove di tutto rispetto, fra cui l’amaro Savage Grace, storia di incesto e matricidio, e il toccante A Single Man, al fianco di un triste e scoraggiato Colin Firth. La capacità interpretativa e il suo approfondimento dei personaggi fanno senz’altro di quest’attrice uno dei fiori all’occhiello più splendenti della Hollywood attuale.

Un’ottima annata

Il 2014 è stato per Julianne un anno ricco ed intenso, pieno di offerte e infine conclusosi con la partecipazione a tre film molto diversi fra loro, coi quali l’attrice ha dato ennesima dimostrazione della sua versatilità: il cronenberghiano Maps to the Stars, il dramma Still Alice e il mega blockbuster Hunger Games: Il canto della rivolta – Parte I. L’interpretazione della frustrata attrice Havana Segrand in Maps to the Stars salta doppiamente agli occhi se confrontata a caldo come a freddo con la levigata e sensibile recitazione in Still Alice. I due personaggi si possono tranquillamente dire agli antipodi, considerando che Alice è una donna realizzata, con alle spalle una splendida carriera di linguista e una famiglia che la ama e che lei ama appassionatamente, ma che è costretta ad affrontare il dramma del suo Alzheimer precoce. Entrambi i film le frutteranno riconoscimenti, dei quali il più insigne è sicuramente il Prix d’interprétation féminine al Festival di Cannes per Maps. Persino il ruolo relativamente marginale nel terzo capitolo di Hunger Games la fa splendere di luce propria, donandole l’occasione di interpretare il ruolo di una donna al comando, combattiva e pronta al sacrificio in nome della causa. Tirando le somme, abbiamo disegnato il ritratto di un’attrice a tutto tondo, coi suoi cinquantaquattro anni portati meravigliosamente, una grande eleganza e alle spalle una carriera tanto frenetica e intensa quanto degna del più sentito rispetto.

Share.

About Author

Leave A Reply