I titoli di testa di Call Me By Your Name appaiono sullo schermo accompagnati da rappresentazioni di statue classiche. Figure perfette nella loro proporzione e portatrici sane del senso puro di bellezza. Luca Guadagnino ci tiene fin da subito ad accostarsi a quell’epoca, come a volersi appropriare di quegli aggettivi che la rendono ancora senza tempo. Perché questo è il senso del suo film: raccontare quello che è assolutamente atemporale come il desiderio, la passione e l’amore. Ferma così un’epoca (quella degli anni ’80) in una localitá non precisata del nord Italia e poi la contamina con riferimenti culturali del passato e le canzoni del nuovo millennio. Fa di tutto per confezionare la storia di un incontro tra due ragazzi affinché possa sembrare qualcosa di quanto più universale nel suo immobilismo.
Sebbene infatti, come sempre, i personaggi portati in scena dal regista non siano mai quelli che definiamo persone comuni, questi due protagonisti sembrano quanto di più naturale possa essere rappresentato. Si è certo sfruttato il topos, anche qui classico, dell’adone che seduce un adolescente, ma c’è qualcosa in più che li rende così veri: il tempismo (di nuovo). Mentre tutta la cornice sembra ferma, le azioni dei due sono scandite da un ritmo misurato alla precisione sulle cadenze del rituale dell’innamoramento. Questo che potrebbe essere solo un lavoro di sceneggiatura, è in realtà il frutto di un accurato studio del legame che unisce una inquadratura all’altra. Guadagnino è stato in grado di mettersi sullo stesso livello della vita per, finalmente, dare una dignità al racconto visivo dell’amore omosessuale. Ne sono assecondate tutte le pulsioni, le fasi dell’incontro e dell’abbandono, la fisicità eloquente dei corpi (perfetti i due attori Armie Hammer e Timothée Chalamet), tutto nel rispetto della leggerezza del racconto. il vantaggio infatti di ispirarsi a chi professava il culto della bellezza in termini classici ha reso Call Me By Your Name prima di tutto un film bello. Misurato, elegante e coinvolgente, aperto ad ogni tipo di spettatore. Perché Guadagnino tra parlare o morire ha scelto di mostrare, e lo ha fatto come nessun altro mai prima di lui.