Berlinale 2017: Golden Exits, la recensione del film di Alex Ross Perry

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Anche al cinema esistono le mode. Ora la tendenza dice di continuare a cavalcare l’onda dell’effetto nostalgia, riutilizzare quindi uno stile visivo vecchio, anzi vintage. Se poi si cerca di inserirsi in un ambiente indipendente meglio ancora se in qualche modo si strizza l’occhio all’hipsterismo di massa. Alex Ross Perry non avrebbe bisogno di questi stratagemmi per conquistarsi il favore del pubblico: quello se lo aveva già guadagnato con Listen Up Philip, film di culto per gli intellettuali americani dal 2014. Eppure con questo Golden Exits il regista ha voluto allargare ancora di più il suo consenso dirigendo una storia sul fallimento e la depressione di una generazione con uno stile anni ’90 nella New York da bene.

Gli argomenti a suo favore sono molto più che validi, con una giovane venticinquenne che entra nella vita di diverse famiglie e porta il caos dei dubbi esistenziali. Solleva un polverone fatto di insoddisfazione e noia da parte di chi è abituato a vivere di velleità artistiche piuttosto della quotidianità lavorativa, di chi si annoia e cerca a tutti i costi la novità. Se questo risulta familiare è perché altri autori in questi anni stanno indagando lo stesso stato di depressione apatica di una certa società. Uno su tutti il Noah Baumbach di Giovani si diventa, riferimento impossibile da non cogliere guardando questo Golden Exits. Quello che peró differenzia i due registi é che uno (Baumbach) traccia la linea della critica tra lui ed i suoi personaggi, l’altro (Perry) ne sposa lo sguardo sottolineandolo da vicino con primissimi piani. Se quest’ultimo, quindi, sembra voler giustificare i suoi acculturati ed artistici protagonisti, allo stesso modo non arrivano allo spettatore che viene del tutto sommerso da questo stile cosí glamour ma cosí poco appropriato per catturare una certa empatia.

Si rimane comunque affascinati dalle tematiche ed interessati da alcuni spunti di riflessioni che non mancano di essere riproposti in più occasioni con un risultato più o meno incisivo. Quello che peró fa piú riflettere é la deriva che sta prendendo il cinema indie degli ultimi anni che sta assumendo la tendenza del guardarsi troppo allo specchio per compiacersi del proprio status. In questo caso Perry fa un film che rientra perfettamente in una cerchia di genere ma che, se tolte queste connotazioni richieste dal codice, poteva allargarsi in maniera tale da prestare piú attenzione ai tanti elementi degni di nota che ogni modo sono presenti.

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