National Treasure: la recensione della miniserie con Robbie Coltrane

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National Treasure è una mini serie di quattro episodi scritta da Jack Thorne (Skins, This Is England) per il network Channel 4. Inaspettatamente interessante, basata su un fatto nemmeno del tutto veritiero, ruota intorno all’accusa di stupro ricaduta sul comico Paul Finchley, interpretato da Robbie Coltrane. Oltre ad essere un comico, Paul è anche marito di una comprensiva e fedele moglie Marie (Julie Walters), e padre di una ragazza tossicodipendente palesemente affetta da disturbi comportamentali, Dee (Andrea Riseborough).

Casa di Utopia e Black Mirror, Channel 4 merita un’ occasione per questo drama e non solo: la serie ha vinto al Roma Fiction Fest il Premio Speciale della Critica. Il titolo è ispirato alla fama di Paul, come se fosse un bene comune per i suoi concittadini, mentre la sua specifica accusa prende vita dall’Operazione Yetree del 2012, una sorta di accanimento pubblico verso le personalità più famose accusate di pedofilia e molestie sessuali. La scrittura e l’interpretazione del personaggio di Paul trova ulteriore forza nella regia di Marc Munden, conosciuto per la serie prima citata Utopia. Solamente per questo, National Treasure vince a carte scoperte facendoci piombare improvvisamente in un delirio inquieto tra vita pubblica e privata, fantasie e paure del protagonista. Paul si confida con le sue prostitute e sembra non essere mai capace di dire davvero la verità, nascondendosi dietro alla sua maschera comica. In qualche modo, lo script crea un seme di sfiducia da parte dello spettatore, indeciso se credere ai sogni di Dee o alla voce rassicurante di Paul quando dice “Sai che non vi farei mai del male”. 

L’ambientazione è connotata da una fotografia ed un lavoro di colore non indifferente, capace di disegnare il mondo di National Treasure a completo piacimento dei creatori visionari. È inspiegabile come una trama così apparentemente povera possa invece essere manipolata fino a renderla straordinariamente malleabile ed oscura, eppure questa è la magia. Abbiamo di fronte un comico o uno stupratore? Una vittima o un mostro? È questo quello che ci chiediamo alla fine del primo episodio, che si conclude con un’inaspettata e quasi spiazzante cura nei titoli di coda. La musica è di Cristobal Tapia de Veer, compositore di Utopia, di nuovo, per il quale una grande fetta di pubblico prova ancora nostalgia. Sicuramente National Treasure non può sostituirlo, ma non per questo è vietato riprovare a donare qualità e spessore ad altre storie.

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