17 anni (e come uscirne vivi), la recensione del film di Kelly Fremon Craig

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C’è un genere che ciclicamente viene riproposto: quello dei teen movie. La costante è che i protagonisti si trovino nella difficile età dell’adolescenza e non sappiano come uscirne. Le variabili possono essere molte, dal bullismo alla rivincita dei nerd, dalle amicizie nate per caso agli amori impossibili. Ecco 17 anni (e come uscirne vivi), titolo infelice dell’originale The Edge of Seventeen, sembra conoscerle tutte e sappia mescolarle perfettamente per creare un classico teen movie sincero e funzionale.

Perché quello della regista Kelly Fremon Craig non è un film sensazionale, ma spicca sicuramente per il rispetto e la sapienza della materia che sta trattando. C’è il dramma d’amore, quello dell’amicizia, il contesto scolastico e quei richiami anni ’80 che strizzano l’occhio ad un epoca che ha fatto la storia del genere. Questo rigore ha permesso alla Craig di giocare a mettere in scena una protagonista che non è certamente tra le più simpatiche delle adolescenti del cinema. Nadine è infatti arrogante, presuntuosa ed egocentrica e, sebbene le sue siano le classiche difese di una ragazza insicura, molto difficilmente uno spettatore potrà provare una completa simpatia per lei. Ma è proprio questa variabile, appunto, a contraddistinguere il film da tanti altri della stessa categoria: la ragazza sfigata non fa più tenerezza al pubblico.

Ad esprimere tutte le perplessità sulla protagonista, interpretata da una bravissima Hailee Steinfeld, è però il vero punto forte del film: il professor Bruner di Woody Harrelson. E’ lui che dà la chiave di lettura a tutti gli esasperati drammi della ragazza e renderli più leggeri, così come il ritmo dell’intero film. Divertente, sarcastico, menefreghista, il personaggio di Harrelson riesce a conquistarsi il giusto spazio narrativo per entrare di diritto tra gli adulti migliori dei teen movie visti negli ultimi anni. E questa nota di colore data ad un personaggio secondario denota, di nuovo, la padronanza del genere che non avrebbe mai avuto lo stesso successo senza le spalle che sorreggono i disorientati teenager. 17 anni (e come uscirne vivi)  diventa così un prodotto fresco e godibile, senza le pretese di fare la storia, al massimo di omaggiarla.

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