Siamo in una casa rosa. Rosa i grandi fiori della carta da parati, rosa il telefono, i mobili squallidi, il pelo soffice del tappeto in salotto. In questa sdolcinata bomboniera è seduto Mad Dog, un Willem Dafoe, in forma più che mai, sempre più simile a uno spettacolare gargoyle . Questa la prima scena di Cane Mangia Cane, diretto da Paul Schrader e tratto dall’omonimo romanzo di Edward Bunker.
Il rosa scompare, la scena è invasa dal viola, dal verde e dal blu più psichedelico; davanti a noi un vortice di luoghi senza luogo, motel, strade e locali notturni privi di identità. Veri e propri antieroi nostalgici, i tre protagonisti di questa storia sono disperati. Questo sembra uno stato d’animo inevitabile quando non si riesce a sostare all’interno dei confini imposti dalla società; confini che sembrano ancor più folli nella sconfinatezza dell’America. I tre amici Mad Dog, Troy e Diesel cercano un modo, al di fuori dalla galera, per scampare alla vita che sembra immensa al di fuori di quelle quattro mura. Dietro ogni riga dello scrittore americano molte questioni impazzano, come un allarme sempre acceso: se l’uso della violenza fa di te un criminale, quando sono le istituzioni a fare violenza, ciò le rende criminali? Quando è la galera ad educarti, che succede quando ti ritrovi immerso nelle leggi al di fuori di essa? La società è ricca di doveri a partire da quello semplice e scontato: per campare è necessario lavorare. È alla base il dovere fondamentale: sostare sempre e comunque nella legalità. Ma la linea di demarcazione fra criminalità e legalità è più che sottile, praticamente inesistente. Bunker e Schrader (a cui questo tema è caro fin dai tempi di Taxi Driver) questo lo sanno e scoperchiano, dialogo dopo dialogo, la grande contraddizione del grande paese delle contraddizioni.
Istituzione e individuo ma soprattutto la violenza che genera violenza; è un vortice questo che ben descrive l’America, tema caro anche a Quentin Tarantino, che nel Le Iene affida la parte di Mr.Blue allo stesso Bunker. Per il quale il discorso sociale è fondamentale e quindi da vero romanziere non può non essere affrontato a prescindere dai meandri dell’animo umano. Bunker non cerca mai giustificazioni inutili, mostra le nefandezze pure e crude, è violenza, non è permessa morale se la si vuole indagare davvero. E Schrader lo segue, si presta al gioco, scava nei suoi attori con la mdp, sottolinea ogni ruga e ogni sorriso disperato, gioca perfettamente con colori, oscurità e luce. Inoltre spinge al massimo il potenziale ironico dei volti, sosta su Nicolas Cage il cui disagio è totalizzante e contiene infatti tutto il ridicolo umano. Lo spettatore si diverte e in fondo è dalla parte dei vinti e non da quella dei vincitori, anche se questi ultimi, dall’alto delle loro regole sembrano stare dalla parte del giusto.