McKellen: Playing the Part, la recensione del documentario su Ian McKellen

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“Tutto il mondo è un palcoscenico” scriveva Shakespeare in Come Vi Piace. Però per McKellen, che lo considera “l’inglese più grande che sia mai esistito”, il palcoscenico è il mondo, la recitazione, in particolare quella teatrale, è la vita. “Mi chiedo come facciano gli attori che oltre a lavorare hanno una famiglia, dei figli. Per me recitare è tutto. Recitare consuma tutte le mie energie” afferma l’interprete in McKellen: Playing the Part, il documentario che tenta di condensare in soli novantasei minuti l’intensa vita dell’attore britannico, dalla sua infanzia ad uno dei suoi ultimi spettacoli teatrali.

Le tappe cruciali dell’esistenza di McKellen sono scandite e filtrate dalle opere alle quali ha partecipato, proiettando l’immagine di un uomo la cui vita è stata definita dalla recitazione, che offriva sostegno al suo bisogno identitario quando non aveva ancora dichiarato la sua omosessualità, togliendosi “un peso che non sapeva di portare sopra le spalle”.

A dirigere il documentario è Joe Stephenson, al suo secondo lungometraggio dopo il pluripremiato Chicken, che si deve scontrare con la mancanza di materiale di repertorio dei primi anni di carriera dell’attore, oltre che con tutto il periodo della sua infanzia.  Come stratagemma , il regista e produttore riproduce davanti agli occhi dello spettatore i ricordi dell’attore, sopperendo così alla carenza di materiale creandone del nuovo. Se in alcune scene questa tecnica risulta vincente, capace di spezzare l’inevitabile monotonia di una lunga intervista, in momenti più delicati ed intimi  il suo ricorso allontana lo spettatore dal racconto, filtrando la potenza delle emozioni veicolate dall’attore.

La voce di McKellen ci guida durante la visione, discutendo sull’essenza della recitazione, sul ruolo dell’omosessualità nella sua vita, che ne ha decretato l’impegno politico come attivista e fondatore di Stonewall, fino ai suoi ultimi progetti, passioni e preoccupazioni. Stephenson realizza un documentario interessante e che getta luce soprattutto sui primi inesplorati anni della vita dell’attore, confezionando un’opera che coinvolgerà di sicuro i suoi fans. Il problema principale del film è che l’unica voce che ascoltiamo è quella di McKellen. È una riflessione dell’attore sulla sua stessa vita, una riflessione che, ad eccezione di alcune scene, si limita alla superficie. Stephenson è accomodante, non scava nelle sue contraddizioni, ci mostra solo quello che McKellen accetta di mostrare. Nulla di più, nulla di meno.

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