Good Time: la recensione del film di Ben e Joshua Safdie

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Il cinema indipendente americano, quando è indipendente davvero, diventa una buona medicina al caos della modernità e agli sproloqui sulla società moderna. Il cinema indipendente americano, quando è indipendente davvero, non solo è un buon cinema, ma è anche scoperta. Good Time di Ben e Joshua Safdie fa parte di ciò che tanto manca nelle sale e i distributori dovrebbero capire, forse in maniera non troppo lungimirante, che è quello che ci vuole adesso, quello che la gente vuole davvero vedere.

I pochi, larghi establishing shot spezzano una narrazione fatta di primi piani, inquadrature strette e claustrofobiche, accompagnate da una musica adrenalinica e una messa in scena folgorante. Il film quindi, impostando sin da subito una propria ragion d’essere, si sorregge sulle proprie gambe in grande stile non peccando in nessun elemento particolare ma brillando anzi su alcuni punti. Primo tra tutti l’interpretazione di Robert Pattinson, attore ormai del tutto maturo e consapevole che ha sposato la causa dell’autorialità trovando la sua vera strada. Grazie mille David Cronemberg. Ma non è tutto: la regia dei fratelli Safdie ha aiutato molto il protagonista rendendo la sua piccola epopea degna di un film generazionale, quello dell’eterno giovane in bilico tra l’allontanamento definitivo dalla società e il suo accostarsi ad essa, che poi è un modo per dire che ne è stato inglobato. Come un Travis Bickle di scorsesiana memoria, qui Pattinson è un reietto che però resiste, ha un fratello down che porta con sé e farà di tutto per poterlo salvare da una rapina andata male. In fondo cosa ci resta se non i legami di sangue in questo mondo tanto tetro e triste?

Il ritmo e la struttura cambia vorticosamente, si passa da quello che potrebbe sembrare un film d’inchiesta al thriller adrenalinico, grazie ad un montaggio acido e veloce che va più forte dei suoi stessi protagonisti. Non c’è spazio per la storia, ma solo per le immagini. Ed è questo che fa il cinema indipendente, mostra vite vere trasformate in immagini. Le storie, propriamente dette, quelle che non si spezzano e hanno una realtà, non fanno per Good Time. Cinema indipendente, ma indipendente davvero.

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