Abdellatif Kechiche, acclamato e controverso regista di La vita di Adele, torna a dirigere una storia di formazione con Mektoub, My Love – Canto Uno. Dopo aver lasciato la facoltà di medicina per seguire il suo sogno di diventare sceneggiatore, il giovane Amin (Shain Boumédine) torna a trascorrere le vacanze estive nella sua città natale, sulla costa meridionale della Francia. Qui ritrova i compagni dell’infanzia, come suo cugino Toni (Salim Kechiouche) e l’amica Ophélie (Ophélie Bau), ma anche nuove conoscenze, in particolare le villeggianti Céline (Lou Louttiau) e Charlotte (Alexia Chazard). La spensieratezza e l’incoscienza della gioventù danno vita a un’estate sfrenata fatta di giornate in spiaggia e nottate in discoteca, flirt, segreti e tradimenti. Un sovraccarico sensoriale al quale l’introverso Amin sembra essere in qualche modo immune: seguendo fedelmente lo stereotipo à la Woody Allen dell’artista timido e imbranato, è poco più di uno spettatore che, al riparo dietro le lenti della sua macchina fotografica, osserva i suoi amici e le relazioni che nascono tra loro.
L’occhio della videocamera, puntato insistentemente sulle forme scoperte delle ragazze in scena, potrebbe incarnare il punto di vista dell’outsider Amin, ma quel poco di carattere che il giovane manifesta nel corso della pellicola sembra escludere questa ipotesi. La mercificazione alienante del corpo femminile a cui si assiste in Mektoub non ha alcuna scusante a livello di trama, anche perché, va detto, una trama vera e propria non c’è; è solo l’ulteriore conferma di quanto il voyeurismo del regista sia ormai sconfinato in una fastidiosa ossessione per le natiche.
Metà del film è composto da inquadrature crude e impietose di posteriori femminili, e si parla di davvero tanto tempo, considerando che Mektoub dura circa tre ore. I contenuti, adatti alla realizzazione di un valido cortometraggio, vengono stirati all’inverosimile, annacquati con tempi morti e dialoghi ripetitivi e noiosi, in nome di un preteso realismo che però non c’è.
Centosettantaquattro minuti di film, e mai una volta che si abbia davvero la sensazione di trovarsi immersi in un contesto sociale credibile. Sebbene i giovani protagonisti siano in gran parte di origine nordafricana, la questione etnica è totalmente assente; ma d’altra parte si parla del 1994, ovvero di tempi non sospetti, prima dell’11 Settembre. È un 1994 un po’ particolare, in cui si erano già diffusi il twerking e i pantaloncini alla Daisy Duke, per meglio evidenziare l’estetica “anatomica” di Kechiche.
In questa profusione di forme tondeggianti, a essere completamente piatti sono i protagonisti: tutti belli, bidimensionali e privi di qualsivoglia arco narrativo, escono dalla storia senza essere cambiati di una virgola rispetto a quando ci sono entrati, con la possibile eccezione della romantica Charlotte. I giovani interpreti, più che talentuosi, sembrano genuini: uno sprazzo di realismo in ruoli non particolarmente accattivanti. A rubargli la scena è il personaggio invisibile, il topos dell’avventura estiva. Ma se è vero che il cuore della pellicola è la giovinezza in sé, gli intermezzi incentrati sui personaggi più maturi appaiono incongrui quando non inquietanti, come nel caso dello zio Kamel (Kamel Saadi), un uomo di mezza età che si inserisce nei bagordi di un gruppo di adolescenti. Molte di queste scene sembrano pensate ad hoc per far risaltare il personaggio della madre di Amin, interpretata da Delinda Kechiche, sorella del regista.
Liberamente ispirato al romanzo La ferita, quella vera, opera di François Bégaudeau, Mektoub, My Love arriva nelle sale italiane il 24 Maggio.