È difficile spiegare cosa si provi ascoltando una canzone, che effetto abbia sulle persone o quanto questo semplice gesto possa alleviare lo spirito con risposte che vanno oltre la necessità pratica. A volte la musica sa essere l’unico rimedio possibile a problemi che sembrano irrisolvibili, come due genitori che litigano o il peso delle bollette salate in un conto pari a zero. Pochi, oltre a John Carney, erano andati così vicini alla descrizione perfetta di quell’attimo, quando dal silenzio di una giornata storta emerge il suono di una voce impastata agli strumenti e tutto cambia, tutto assume un altro sapore, e la vita ti appare, per pochi minuti, più semplice e meno dura. L’aveva sussurrato tra i passanti in Once, gridato dai grattacieli di New York in Begin Again, ed oggi, tornando sulla strada (il vero luogo dell’anima di personaggi e musicisti squattrinati), il regista irlandese ci consegna l’ennesimo film benedetto da una gioia di vivere travolgente, grandi canzoni e un amore per la musica che infrange la distanza tra schermo e spettatore, insieme lungo i novantotto minuti migliori che potevamo sperare.
Sono ancora i perdenti, gli ultimi della scala sociale, i protagonisti di Sing Street, a cui Carney dedica la sua inconfondibile e magica cifra stilistica, un linguaggio cinematografico che trascende la forma perfetta e accompagna la scrittura con un montaggio impeccabile (già tra i punti di forza del precedente lavoro con Mark Ruffalo e Keira Knightley). Così, per raccontare la via di fuga dai problemi familiari ed economici del sedicenne Conor, Carney utilizza il mezzo musicale come spinta all’azione, all’emancipazione e al sogno, nella Dublino uggiosa del 1985, un periodo in cui le tendenze musicali si sono rincorse e date il cambio nella maniera più folle possibile. Era il tempo del synt pop dei Duran Duran e del rock straziante dei The Cure, della new wave e del progressive, inquieto più dell’età di Conor e di Raphina, la ragazza destinataria delle sue rime d’amore. Bella e irresistibile come lo fu Molly Ringwald durante gli anni della brat pack: in lei Carney individua una luce particolare, la stessa che riscalda e mette in evidenza un’abilità, la sua, senza pari, quando traduce grazie alle immagini il potere curativo della musica.