Ovunque tu sarai: la recensione del film di Roberto Capucci

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Arriva per tutti prima o poi il momento di dare una svolta alla propria vita, oltrepassare quella “linea d’ombra”, come la definisce il protagonista di Ovunque tu sarai, oltre la quale tutto potrebbe essere diverso: e così, anche una trasferta calcistica per vedere la Roma scontrarsi agli ottavi di Champions con il Real Madrid, nata come spunto di quattro amici romanisti per un ultimo viaggio all’insegna della spensieratezza, prima che uno di loro convoli a (giuste?) nozze, può trasformarsi in percorso fondamentale nelle vite di ciascuno. La trasferta spagnola di Francesco, Carlo, Loco e Giordano, vissuta in un pulmino d’epoca della Volkswagen attraverso un rocambolesco intrecciarsi di eventi e incontri, soprattutto con la bella cantante Pilar che ricorderà a Francesco i suoi sogni musicali, diventerà un amaro giro di boa, da cui ognuno dei protagonisti scoprirà o svelerà qualcosa di sé.

Per questo suo esordio alla regia Roberto Capucci, che firma la sceneggiatura con Francesco Apolloni, impegnato anche nei panni di Loco, mette in campo una buona dose di se stesso, componendo il film sulle corde della propria passione calcistica, giallorossa per l’esattezza, sui propri ricordi d’infanzia e sullo spirito di collante sociale e affettivo positivo che rappresenta (che dovrebbe sempre rappresentar), l’esperienza del calcio e dello stadio, connotando il tutto temporalmente all’anno 2008, quando si disputò davvero il match. Il risultato è un’operazione incentrata su un temperamento nostalgico, non solo a livello contenutistico, ma anche nei continui rimandi stilistici – uno su tutti: il cambio d’abiti in stile rockstar anni ’60-‘70 (oltre al già citato pulmino, status symbol vintage per eccellenza). Ma non solo. Non è soltanto il continuo richiamo a un passato che non c’è più (per certi versi anche drammaticamente), a un lì e allora che stilisticamente conchiude in un alone di rarefatta malinconaggine l’esperienza del raccontato. È anche la scelta di (ri)utilizzare tutto un database di citazioni e spunti a rendere Ovunque tu sarai operazione piuttosto insidiosa dal punto di vista filmico. Ci sono una serie di riferimenti e intenzionalità (troppe) in quest’opera, che vanno da Febbre a 90°, fino a Una notte da leoni, passando decisamente per Tre uomini e una gamba, che schizzano con una frammentarietà che sovrappone continuamente registri, input, generi, spinte propulsive.

È quando Ovunque Tu Sarai lascia la tendenza a forzare tra le diverse cifre stilistiche che il film sembra funzionare e ingranare il ritmo del racconto con godimento e fluidità, come quando indugia con tocco scanzonato sulla passione sportiva, i legami che crea, le scaramanzie – e Montanari risulta il più convincente e originale tra i personaggi, con il suo Giordano così sopra le righe con i suoi mille tic e rituali. Tra le tante strade percorse, compresa la scelta di quel match come pretesto drammaturgico, che blocca un po’ il racconto sul piano anche strutturale, il film sembra adombrarsi spesso in una zona grigia e perdere una linearità narrativa che tutto sommato avrebbe potuto vivere, senz’altro dignitosamente, accontentandosi della sua intuizione di fondo: provare a raccontare questa passione, così radicata e radicale nella nostra cultura sociale, facendola scorrere sulle note di un’amicizia eterogenea, ma consolidata proprio da un comune amore.

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