Dopo l’Amore: la recensione del film di Joachim Lafosse

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Anaïs Nin diceva che l’amore non muore mai di morte naturale. Che muore perché noi non sappiamo come rifornire la sua sorgente. Muore di cecità di ferite, muore di stanchezza, per logorio o per opacità. Dell’amore tra Marie (Bérénice Bejo) e Boris (Cédric Kahn), sembra sia rimasto ben poco, e quello che c’è, è sopraffatto da recriminazioni, consumato da continue dispute, soffocato dal risentimento e logorato al punto in cui la sola presenza dell’altro è fonte di irritazione profonda“Ci sono mille modi per dirsi addio e il peggiore è restare”, soprattutto se non vi è altra scelta. Joachim Lafosse affronta proprio questa tema in Dopo l’Amore, una pellicola che con sincerità si concentra sulle difficoltà emotive e finanziarie della separazione di una coppia, costretta per ragioni economiche a vivere nella stessa casa.  Il titolo originario, traducibile in L’economia di coppia, fa riferimento proprio a questa doppia accezione che comprende sia le risorse monetarie e i vincoli che legano Marie e Boris, sia l’insieme di attività – anche non tangibili – svolte per utilizzare queste risorse, motivo di contesa.

Infatti, la divisione della coppia è complicata dall’esistenza delle tre prove tangibili di quel sentimento che li ha uniti per quindici anni: due adorate figlie e un appartamento. Comprata principalmente con i soldi di Marie, ma ristrutturata con la dedizione e la passione di Boris, la casa diventa allo stesso tempo il campo di battaglia e la ragione principale dello scontro tra i due; una zona di guerra e una trincea, regolata da codici di condotta unilateralmente presi e spesso ignorati per infastidire ulteriormente l’altro. Lafosse, dopo Our Children e Proprietà Privata, confina ancora una volta i suoi personaggi in uno spazio stretto, seguendo con la camera l’altalenante rapporto tra Marie e Boris, e spaziando tra rancorosi silenzi ed rumorosi litigi, tra celati sgambetti e manifeste ripicche. Lafosse, sceneggiatore insieme a Fanny Burdino, Thomas Van Zuylen e Mazarine Pingeot, trasforma le banalità del quotidiano come una cena tra amici, la preparazione di un pasto e il bagno delle bambine, in deterioranti piccoli conflitti che, con una scrittura sincera, donano al film un clima soffocante e teso, dove all’impossibilità di una distanza fisica si ripiega su quella mentale.

Con le loro ottime interpretazioni, Bérénice Bejo e Cédric Kahn conferiscono umanità e realtà alla pellicola, un intimo ritratto dell’amaro regolamento di conti che aspetta al capolinea di un amore ormai svanito.

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