The Night Of, la recensione: l’allucinatoria indagine targata HBO

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Non si può liquidare The Night Of come semplice crime story, nonostante ci siano due grossi motivi per pensare ciò. Il primo: il genere. La sete di violenza e di mistero del pubblico probabilmente non si esaurirà mai, ma si può affermare che di gialli, thriller e sottocategorie derivate ne sono state prodotte a migliaia. Cinema e televisori, soprattutto negli ultimi anni, sono stati inondati da questo tipo di opera, rendendo lo spettatore medio molto più attento a riconoscere il “già visto”. Questo punto si ricollega in parte al secondo, cioè che The Night Ofprodotta da HBO, non è un prodotto originale, ma è semplicemente il remake all’americana della britannica Criminal Justice, non proprio nota al grande pubblico internazionale. Allora perché The Night Of, in sole otto puntate, è riuscita a convincere così tanto pubblico e critica (vedi candidature ai Golden Globes)?

La grande forza della serie, scritta Richard Price e Steven Zaillan e diretta quasi interamente da quest’ultimo (un episodio è stato girato da James Marsh) sta nel suo non essere una crime story. O meglio, non esserla come tutti gli altri. Nel corso delle otto puntate, infatti, l’elemento dell’indagine e del crimine passano in secondo piano: la storia ruota attorno all’omicidio della giovane Andrea che, una notte, è salita per caso su taxi di Nasir, giovane pakistano insicuro ed introverso, che ha “preso in prestito” la vettura del padre. Dopo una notte a base di alcool, droghe pesanti, giochi pericolosi e sesso, Nasir (per gli amici Naz) si sveglia in cucina, senza ricordarsi niente. Sale in camera da letto e trova il cadavere della compagna, brutalmente dilaniata. In preda al panico il ragazzo scappa con la droga e il coltello, l’arma del delitto. Viene prontamente arrestato e accusato dell’omicidio dal commisario Bill Camp. È l’unico accusato e le prove sono schiaccianti. La svolta si presenta per il povero ragazzo, che si dichiara innocente e di non ricordare nulla di quella notte, proprio tra le mura della stazione di polizia, dove incontra l’avvocato (da due soldi) John Stone, che si offre per difenderlo.

L’abile penna di Price e Zaillan, come detto precedentemente, riesce a mettere in secondo piano la risoluzione del mistero della morte di Andrea che, nonostante dilani e arrovelli la psiche dello spettatore, non interessa: nessuno conosce la verità, nessuno vuole conoscerla e, a maggior ragione, nessuno vuole prendersi la piena responsabilità della colpevolezza di Naz (Riz Ahmed). Nè i genitori, né gli avvocati, né tantomeno la giuria, che non riesce a dare un giudizio. Non sapremo mai chi è stato perché non è importante. Gli autori focalizzano il discorso sull’assurdità di una nazione, come gli Stati Uniti, e del proprio sistema accusatorio e giudiziario. Il paese delle contraddizioni, dove tutti sono liberi, ma tutti sono controllati (la città pullula di telecamere), dove tutti sono uguali, ma le differenze razziali son dure a morire. Il paese dove si crede a tutto, tranne che all’innocenza di un giovane pakistano che si trova ingoiato e fagocitato da un universo pieno di dolore, violenza e odio che, prima di quella notte, era riuscito ad evitare. Una nazione dove anche l’amore e i sentimenti (quelli acerbi di Naz per Andrea, prima, e per l’avvocato Kapoor, dopo, o quelli di Stone per il figlio che non vede più) non hanno spazio e che, se esternati, possono essere usati contro di te.

Aleggia, nell’atmosfera architettata da Zaillan, che esprime questo senso di inquietudine e di oppressione racchiudendo i personaggi, immersi nell’ombra e in colori scuri e tendenti al grigio, nella sagoma della porta, o della cella, la presenza di un evento che ha cambiato tutto come non ha cambiato niente: l’attentato dell’11 settembre. In The Night Of, come a New York, come negli States, cambia tutto come niente: odio, razzismo, differenze, difficoltà. Tutto va via e tutto ritorna, come l’eczema che esaurisce Stone (interpretato da un John Turturro che bilancia la tristezza, la malinconia e l’ironia del suo personaggio in maniera magistrale). Ultima nota: Riz Ahmed. Il protagonista della serie racchiude tutte le contraddizioni di un personaggio debole e fragile all’inizio e che, uscito dalla “palestra dell’odio” del carcere, tatuato e violento, rimane debole e fragile.

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