Il Diritto di Contare: la recensione del film con Octavia Spencer

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Il 20 Febbraio del 1962 John Glenn diventava il primo astronauta americano a orbitare intorno alla Terra. Sebbene l’impresa sia scolpita nell’immaginario collettivo, meno nota – per non dire sconosciuta – è la storia di tre donne nere che hanno contribuito al successo dell’evento: Katherine Johnson, Dorothy Vaughan e Mary Jackson.

Basato sull’omonimo libro di Margot Lee Shetterly, edito in Italia da HarperCollins, Il Diritto di Contare getta luce su questi tre personaggi, in un film che diventa uno scorcio sulla storia degli Stati Uniti degli anni ’60. Infatti, raffigurando le difficoltà di queste tre donne, la pellicola immortala gli Usa della Guerra Fredda e delle discriminazioni razziali pre Civil Rights Act del 1964, senza tralasciare il sessismo presente nella società.

Come in – quasi- ogni film ispirato ad una storia vera, la linea cronologica viene compressa per rendere più concitato il ritmo degli eventi narrati e per mostrare in parallelo le tre distinte battaglie delle protagoniste: quella quotidiana della matematica Katherine (Taraji P. Henson), che lavora in un ambiente dominato dal sessismo e dal razzismo, quella di Vaughan (Octavia Spencer) per ottenere ufficialmente la qualifica di supervisore, negata per il colore della sua pelle, e quella di Jackson (Janelle Monáe), impossibilitata a diventare ingegnere a causa delle barriere razziali.

La verità storica viene non poche volte piegata a favore di un facile intrattenimento, di un  maggior coinvolgimento emotivo, spingendo lo spettatore ad empatizzare con i personaggi, accentuando le ingiustizie che le protagoniste devono subire per autorealizzarsi. Ma questa autorealizzazione non è mai solo a favore del singolo. Rappresentando tre persone dalle straordinarie capacità, a differenza di altri film incentrati su individui particolarmente dotati, Il Diritto di Contare sottolinea sempre la dimensione collettiva. Alla glorificazione dell’ego e alla celebrazione personale, il film sostituisce l’elemento di “lotta di classe”. “Ogni tipo di movimento, è un movimento per tutti noi. Non solo per me” dirà infatti Katherine.

In un film dalla regia, curata da Theodore Melfi (St.Vincent), non particolarmente innovativa, con una sceneggiatura ricca di cliché prevedibili, sono le interpretazioni di Henson, Spencer e Monáe, affiancate da Kevin Costner, a fare la differenza e a catturare lo spettatore. Anche il tema di per sé, con il suo messaggio positivo e i risvolti ottimistici, contribuisce a bilanciare i difetti della pellicola.  Il Diritto di Contare  – Hidden Figures in originale- , riesce così a coinvolgere ed emozionare,  a gettare luce su una storia pressoché sconosciuta, ma senza particolare originalità nell’esecuzione.

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