Bling Ring: la recensione del film di Sofia Coppola

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Nel modo di tratteggiare i caratteri predominanti della cultura giovanile, le inquietudini, i turbamenti, le conseguenze di una latente solitudine, Sofia Coppola ha stabilito una certa distanza sostanziale dagli autori contemporanei. C’è qualcosa di fortemente autobiografico e inafferrabile nella timidezza con cui si pone sempre al lato delle storie che racconta, storie sospese tra silenzi e musica, storie di alienazione e disincanto, di scoperta e cambiamento. Non avrà reinventato le regole del cinema, ma avverte e sintetizza la gioventù, un universo elementare e insieme complicato che, dalle vergini suicide alle sfacciate ladre californiane, ha subito un mutamento importante. Bling Ring, quinto lavoro della regista, nasce da una lettura curiosa di un articolo pubblicato su Vanity Fair: tra il 2008 e il 2009, a Calabasas, California, una gang di teenagers trafuga una serie di oggetti preziosi dalle ville dei vip di Beverly Hills, ossessionati dal lusso di una vita spalmata pubblicamente.

In un tale quadro, il film della Coppola è un episodio per nulla trascurabile, perchè accanto al suo solito ed inimitabile esercizio di stile, lampeggia un avvertimento, un’analisi che, dietro le risate e il dinamismo di superficie, nasconde tutta la tristezza della nostra epoca, così povera, così vuota e marcia. Il crollo morale delle giovani generazioni è un fenomeno virale e drammatico, la cultura americana, che negli anni ’60 e ’70 aveva attraversato tempi di inarrestabile ribellione e consapevolezza sociale e politica, ora sembra sepolta sotto la celebrazione del vuoto esistenziale, il nulla che raccoglie il successo, la fama, i vestiti, i gioielli, le scarpe, il denaro, l’ansia di condividere ripetitive istantanee di vita privata.

Ciò che stupisce di Bling Ring è l’approccio alla realtà di Sofia Coppola, una realtà che conosce bene (lei è dentro e fuori questo mondo), perchè spietato e feroce, quando dai toni beige e ovattati delle battute iniziali cambia registro e la fotografia si fa cupa. Non c’è mai il minimo spiraglio per la compassione, non c’è intimità con dei protagonisti smarriti e colpevoli, scelta che rende questa pellicola minore rispetto alle cinque finora dirette, dove invece era fortemente voluta una connessione emotiva tra il pubblico e i suoi eroi. Infelicità e solitudine ritornano ancora una volta come i veri fantasmi dei privilegiati, prigioni immaginarie senza via d’uscita.

Bling Ring segna forse la fine di un ciclo. Abbiamo contemplato la giovinezza in ogni suo aspetto velato, dall’innocenza delle sorelle Lisbon all’infanzia rubata di Marie Antoinette, per giungere al capolinea di un sogno infranto sui tacchi vertiginosi e le extensions di Nicky, Sam, Rebecca, Chloe e nello sguardo innocente di Marc, nel quale c’è molto della Coppola. Uscirete dalla sala con un profondo e irreversibile senso di  tristezza, per quella speranza che era solita lasciare sul finale dei suoi film e che stavolta, pare essere la grande assente.

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