Il 24 Febbraio dello scorso anno, una ragazza di ventidue anni si stava avviando al momento della sua totale affermazione, con gli occhi di cristallo che la natura le ha donato, un po’ asimmetrici per l’emozione, gli zigomi accentuati che parevano pesche mature e quell’abito color crema che avrebbe sollevato inutilmente prima di cadere. Portando le mani al viso, gesto comunicativo di una tacita inadeguatezza verso il trionfo, Jennifer Lawrence si rialzava, guadagnava spazio, sbocciava tendendo il braccio verso la statuetta d’oro, la più ambita, così giovane e inesperta. Dopo la goffa scivolata sugli scalini del palco del Kodak Theatre, avrebbe in seguito commentato: “La mia caduta? Avevano dato la cera”. Sono sufficienti queste parole per raccontare agli altri lo spirito della ragazza cresciuta nel Kentucky, tra cavalli e fratelli maschi, carattere ribelle e inusuale forgiato da emozioni che filtrano la vita americana di provincia, ancora semplice e selvaggia. Jennifer è fuori da ogni regola o convenzione. Non è un’artista classica, non ha mai studiato per diventare ciò che è diventata, un’ attrice volitiva, che tutti vogliono e stimano. La sua scuola, forse, è stata proprio l’istinto. Ecco perché i personaggi che interpreta le somigliano molto: essi vivono di atteggiamenti popolari e sfumature che ritrovi negli amici di periferia, nelle scorribande notturne, nell’universo moderno della nuova gioventù femminile che si fa strada. Lei guida questa futura ondata di donne che investirà Hollywood con la spontaneità che le compete, senza però sopravvalutarsi, sorridendo alla fortuna e collezionando battute.
JENNIFER E LE PARANOIE INVISIBILI
L’articolo di Christopher Goodman dello scorso Agosto (pubblicato da Repubblica) denunciava una sostanziale differenza culturale tra la vecchia e l’attuale generazione di attrici. Lo scrittore faceva riferimento ad un’epoca d’oro irripetibile, dove gli studios assoldavano belle ragazze disposte a sottoporsi al loro processo di creazione e sviluppo, un processo che sopravvive in rari casi anche se curato e sollecitato da poteri ben più subdoli. Accanto ai modelli di riferimento offerti dai mezzi di comunicazione di massa, oggi nuove consapevolezze e forti segnali di emancipazione femminile, spingono le menti verso scelte autonome, a volte sfrontate. Jennifer Lawrence appartiene senza dubbio a questa tendenza, ma della vecchia Hollywood ha conservato un aspetto: come le dive del passato, non ha paura di interpretare cattivi personaggi o di alienarsi il pubblico e la stampa, quando afferma che “Da quando faccio questo lavoro produttori e registi mi chiedono sempre di perdere peso. Per loro vive sempre il mito del corpo perfetto, irraggiungibile. Credo che dobbiamo cambiare profondamente l’idea di bellezza e io non ne posso più delle diete”. Al mito Jennifer oppone la realtà, per questo è un’icona positiva e ottimo modello di riferimento, mostrandosi nelle sue molteplici forme senza il timore del giudizio esterno e dissimulando l’estetica con l’innata comicità di cui fa sfoggio in ogni occasione.
JENNIFER E I SUPEREROI
La carriera di Jennifer Lawrence non ha attraversato episodi di notevole importanza fino al 2008, anno in cui riceve il Premio Marcello Mastroianni al Festival di Venezia per il lavoro svolto in The Burning Plain. Lo stupore suscitato dalla quasi totale unanimità del risultato, per una diciottenne potrebbe rivelarsi un ostacolo alla crescita professionale. Senza ulteriori indugi, nel 2010 Jennifer approda al Sundance Film Festival con un piccolo indie movie, Winter’s Bone (Un gelido Inverno) vincitore del Gran Premio della Giuria. Lo spazio stavolta, è ancora più cupo, disperato e ostile, immerso in una storia dove personaggi ed emozioni sembrano schiacciati e dimenticati dalla memoria. Lontano dallo splendore dell’America ricca e soddisfatta, esistono periferie inoltrate che sopravvivono obbedendo ancora alle leggi della natura, panorama inclinato e ritratto inquietante di mondi che pensiamo estinti. La Lawrence, appena ventenne, guadagna integrità vestendo i panni di un moderno supereroe (il personaggio di Ree si occupa della madre malata, dei fratelli piccoli, caccia animali selvatici, subisce le violenze del villaggio), ruolo che le verrà affidato nuovamente in X-Men: Fisrt Class e nel film della sua consacrazione, Hunger Games.
La saga cinematografica tratta dal bestseller di Suzanne Collins, contorta distopia di un futuro imprecisato, ha segnato non solo una svolta nella vita dell’attrice ma anche un profondo cambiamento culturale: è la prima pellicola d’azione con una protagonista femminile ad incassare cifre da capogiro. E ancora, è un prodotto trascinato da una donna giovanissima, fenomeno che non si riscontrava da tempo. Oggi manca quello che una volta era un elemento essenziale dei prodotti hollywoodiani, ovvero le giovani attrici attraenti (nel senso specifico del termine, coloro che “attraggono” pubblico in sala) tra i venti e i trent’anni, fatta eccezione per poche di questa generazione, Keira Knightley, Emma Stone, Greta Gerwig e Jennifer Lawrence. Come le altre, anche lei è emersa da produzioni indipendenti, che solitamente non fabbricano star, proseguendo l’affermazione in un blockbuster, genere che beneficia soprattutto uomini. In un tale discorso, capirete che la ragazza del Kentucky è una specie di miracolo, a fronte dell’attuale difficoltà nel vendere sul mercato i film con protagoniste le donne.
JENNIFER E IL FUTURO
I record raggiunti e l’ordine sovvertito delle cose, non le hanno sollecitato particolari atteggiamenti, anzi, si sono sgretolati in un cumulo di sabbia che il vento, un Oscar conquistato con Silver Linings Playbook e il futuro che l’aspetta hanno soffiato via. Nel frattempo Jennifer è cresciuta, ha consolidato le potenzialità già espresse ed ora ammirevoli se si pensa al divertimento che offre in American Hustle, sfrontata, sensuale e goffa. Nel vorticoso processo di celebrità, abbiamo però dimenticato quanto ancora giovane ed inesperta sia, quanto ancora debba lavorare sulla costruzione di un profilo indimenticabile, imparando dalle grandi, lasciandosi dietro le smorfie infantili e, in una sola parola, crescere. “Non ho abbastanza paranoie, neanche un grammo, da nessuna parte. Non ho mai idea di cosa stia per fare, vado in giro spensierata, sperando che andrò tutto bene”. Per il momento, va bene così.