Il pomeriggio del 7 Luglio 2011 la coltre di nubi che solitamente minaccia Londra in ogni stagione, si era dipanata lasciando filtrare, qua e là, raggi di sole pallido e assorto. Spalmati su tutta la superficie di Trafalgar Square, se ne stavano centinaia e centinaia di ragazzi, con lo sguardo rivolto al cielo, le orecchie al rumore delle automobili in arrivo. Nell’aria potevi perfino vederli, il loro pensieri, che evaporavano come pioggia che risale al contrario della sua natura, mentre su un palco erano comparsi gli eroi di un viaggio lungo dieci anni e otto film. Sul levare di quello sciame di grida e applausi, nemmeno il più grande dei maestri d’orchestra avrebbe fatto di meglio; intanto, la ragazza con i capelli cortissimi scaldava la voce e piangeva le sue ultime lacrime. Emma Watson era cresciuta così, con il viso e i sentimenti concessi al pubblico. C’è un lato, quello rappresentato dai media, che ce l’ha resa più vicina, pure nella compostezza e dignità mostrate durante il saluto definitivo ai fan di Harry Potter, e c’è poi l’altro lato, impossibile da definire. “La gente crede di conoscermi perché da anni mi vede al cinema, ed ha come la sensazione che siamo cresciuti insieme”. Forse è davvero così, forse c’era una strana connessione che oggi, mentre ne ammiriamo il fascino senza tempo e l’intelligenza femminile, sembra essere svanita insieme all’innocenza infantile. Ora Emma passeggia nel cinema d’autore, tentando strade non convenzionali e sa scegliere accuratamente con chi lavorare, in questo momento felice per le donne ad Hollywood, nuova primavera culturale che nasconde insidie dietro ogni angolo.
EDUCAZIONE ATTORIALE
Daniel Radcliffe, Rupert Grint ed Emma Watson erano bambini spettinati quando la Warner Bros li annunciò come futuri protagonisti della saga cinematografica tratta dai libri di J. K. Rowling. Particolarmente forte fu la dichiarazione di Chris Columbus, regista dei primi due film, ai microfoni della conferenza stampa ufficiale, che esortava ad un cauto entusiasmo, a non imprimere un’esagerata pressione nei confronti dei tre giovanissimi attori. La loro maturità personale, in un modo o nell’altro, è stata scandita dai ritmi del set. Interviste, esposizione mediatica, responsabilità: quanto è difficile e delicato gestire l’educazione infantile? Quanti falsi miti di onnipotenza ha creato l’industria cinematografica, lasciando in eredità svariati esempi negativi tra le piccole star? Harry Potter è un caso eccezionale, di ottimo progetto educativo. Il set ha insegnato ad Emma e colleghi il rigore del mestiere, le ha insegnato ad osservare, ad assorbire l’esperienza dalle figure che sono passate,
Michael Gambon, Maggie Smith, Gary Oldman, Alan Rickman tra i tanti. Scorre una certa influenza europea in tutto questo, contrariamente al processo distorto e malato americano, dove ai giovani attori viene rilasciato il peso insostenibile di una carriera troppo veloce. L’eredità potteriana ha disseminato invece esempi lodevoli, mai un cattivo comportamento, mai una risposta sbagliata, e la Watson ne porta testimonianza tangibile. Che il suo talento perspicace non venisse sprecato una volta terminato il lungo viaggio, era evidente fin dal principio. Nessuno però immaginava quanto le scelte future, dai drammi intimi di
Noi siamo infinito (The Perks of being a Wallflower) a quelli feroci di
The Bling Ring, potessero presentarla con successo ad un pubblico diverso, adulto, talvolta indifferente.
RAGAZZI DA PARETE E LADRI DI CELEBRITÁ


Dare una forma e una voce agli adolescenti su pellicola non è mai stato facile. Molti dei ritratti di quella fase in perenne equilibrio tra desiderio e frustrazione spesso si sono rivelati scostanti e lontani. Soltanto pochi eletti hanno avuto l’intuizione e il privilegio di saperli raccontare senza veli, mutando l’immagine in visione, la musica in messaggio, le parole in dardi di verità che puntavano le coscienze in un impeto di novità. Trovo interessante il fatto che Emma Watson abbia selezionato due teenmovie d’autore per uscire dalle sabbie di Harry Potter, com’è interessante d’altronde il fatto che lei, di aule scolastiche ed innocenza giovanile, non poteva saperne granché, chiusa negli studios di una saga che le ha soffiato via l’adolescenza. L’esperienza di un tempo preciso, il contatto con la realtà, le ansie e i turbamenti, li riconosciamo nel film tratto dal romanzo epistolare di
Stephen Chbosky, da lui diretto,
The Perks of being a Wallflower (in Italia tradotto con
Noi siamo infinito). Il “ragazzo da parete” del titolo indica un persona timida e impopolare che, specie durante le feste, resta poggiata al muro; la Sam della Watson invece guarda la vita al centro della pista da ballo, muovendosi frenetica. Quando poi spalanca le braccia mentre percorre le luci gialle del tunnell, gli eroi di David Bowie suggeriscono allo spettatore quel grado di condivisione così raro nel cinema di genere attuale, trasformando la scena in una metafora più grande, in una stretta affettuosa con il pubblico.Dal set di Chbosky, l’attrice si trasferisce subito a Los Angeles per girare il film che
Sofia Coppola ha scritto dopo la lettura di un articolo pubblicato su Vanity Fair, “
I sospetti indossavano Louboutin”: tra il 2008 e il 2009, a Calabasas, California, una gang di teenagers trafuga una serie di oggetti preziosi dalle ville dei vip di Beverly Hills
, ossessionati dal lusso di una vita condivisa sui social network. Sappiamo già che, nel modo di tratteggiare i caratteri predominanti della cultura giovanile, la regista ha stabilito una distanza sostanziale dagli altri autori contemporanei. In
Bling Ring, dove l’approccio alla vicenda è volutamente distaccato (per non stabilire un’intimità che nemmeno i personaggi hanno tra di loro) il profilo di
Nicky presentato dall’attrice britannica evoca il superficiale giudizio che diamo a questa nuova generazione, vuota e marcia, sola e infelice, chiusa nella cornice di vestiti succinti e gioielli pomposi. Nonostante l’impegno, Emma non va oltre la caratterizzazione, capitata forse nel ruolo sbagliato, in un processo di trasformazione fisica, sociale, culturale per il quale non era del tutto pronta. Rimane il lavoro inusuale con la Coppola, assai amata dai giovani attori, che lei investe di complimenti. “
Sofia è incredibilmente intelligente, non esagera mai. Le piace catturare le cose organiche, movimenti trascendentali, cambiamenti nel vento e nel sole” dirà a Cannes, nel Maggio 2013. Dopo il passaggio sulla croisette francese, dove esibisce l’innata eleganza e una purezza che non ha eguali tra le sue coetanee, l’abbiamo rivista in un prodotto antitetico ai precedenti, la commedia dissacrante, splatter di Seth Rogen
This is the end, dove assolve il compito di ironizzare su ste stessa e sull’idea che il pensiero comune ha formulato, vedendola esordire nella toga di Hermione Granger. Un cameo, una fugace apparizione che funziona. E il ricordo di Emma Watson, ascia in mano e sguardo stralunato, si fa vivo nella memoria, procurando sane risate.
PIONIERE GENERAZIONALE SULL’ARCA DEL FUTURO


Le donne del cinema di
Darren Aronofsky hanno sempre esercitato una strana pulsione, dal ghiaccio e il nero nel volto di Jennifer Connelly in
Requiem for a dream, transumando sulle forme disperate e sensuali di Marisa Tomei in
The Wrestler e cadendo sulle ali demoniache del candore di Natalie Portman, premio Oscar ne
Il Cigno Nero. È un attaccamento al limite della sacra perversione, un gesto della sua arte. Quelle erano icone compiute di un destino già scritto, al contrario della
Ila in
Noah. Emma è davvero bella, e non ci si sazia mai abbastanza di quei delicati primi piani, su cui il regista insiste come un profeta che annuncia al mondo la grandezza di una figlia e futura madre, ventre dell’umanità e speranza di rinnovamento. Già percepiamo l’eco dei detrattori del film, che lo chiameranno didascalico e troppo tradizionale, eppure Aronofsky, negli occhi della Watson, ha disperso la testimonianza di un avvenire meno ingrato, nelle grida del parto un desiderio profondo di rivincita. Quando le hanno chiesto di descrivere
Noah con sole quattro parole, ha risposto “
Epico. Traumatico. Intimo. Intenso”. C’è la vita tra quegli spazi, la stessa vita che Emma Watson ha consumato finora, da giganteschi set a piccoli ambienti, presentandosi alle generazioni che verranno come un pioniere. Esempio ammirevole di intelligenza, ragazza caparbia, meraviglioso fiore sbocciato in un’industria ostile.