Ritratti Black & White: Bill Murray

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Al cinema succede raramente ma a volte capita che l’immagine di un attore travalichi i limiti imposti dai singoli ruoli e diventi lei stessa oggetto di indagine e di interesse. É quello che sta succedendo a Bill Murray, una personalità che ha oltrepassato la semplice definizione di interprete per sfociare in quella di personaggio di culto e mito da osannare (tanto che nell’ultimo film lo hanno fatto anche santo). La sua maniera di vivere la vita tra l’irriverente e il malinconico lo ha fatto diventare in poco tempo il simbolo poliedrico della tragicommedia cinematografica e pedina fondamentale per tanti registi. Nella sua lunga e variegata carriera ha affrontato generi che vanno dal blockbuster d’annata a perle indipendenti, senza mai mancare di coerenza. E se pochi sono stati i ruoli che gli hanno dato lo spazio meritato, Bill Murray arriva finalmente nelle nostre sale con una parte che altro non è che il compendio della sua filosofia cinematografica; l’uscita di St. Vincent ci offre la possibilità di approfondire la figura epica di un attore che sta segnando la storia del cinema contemporaneo.

Quando il sarcasmo diventa comicità
Provate a vedere una delle tante puntate del Letterman Show in cui Bill Murray è ospite: ne uscire sicuramente con le lacrime agli occhi. Ora fate caso a quante volte l’attore accenna un sorriso, probabilmente la risposta è mai. Ed è tutta qui l’arma vincente di un attore che ha messo nel sarcasmo la sua grande forza. Si dice che prima che diventasse famoso se ne andasse in giro per le strade di New York con un’espressione serissima a dire alla gente “Sta’ attento, c’è in giro un’aragosta libera e puoi catturarla solo con del burro caldo!” e quelli ridevano solo immaginando l’ironia della scena. Questa indole spontanea verso il paradosso lo ha fatto diventare volto di spicco del Saturday Night Live, ambiente dove è maturato fino al primo vero ruolo importante della sua carriera, quello in Ghostbusters. Nel personaggio del dott. Peter Venkman Murray trova il suo alter ego, facendo scatenare il delirio tra il grande pubblico che lo acclama come nuova star internazionale. Ma tutto questo effetto mediatico non sembra aver soddisfatto l’attore che in un’intervista poi riferirà che il successo lo stava facendo diventare un pallone gonfiato, una persona orribile, tanto da decidere di selezionare in maniera precisa tutti i progetti a venire.

Grandi personaggi per piccoli film: la svolta indipendente
Il talento di Bill Murray rimane parzialmente nascosto fino all’inizio del nuovo millennio quando diventa il volto del nuovo cinema indipendente in ascesa. Tolta l’etichetta di attore comico, della sua personalità rimane solo l’evidente malinconia e l’apparente disagio esistenziale che sfrutta in due ruoli che gli sono valsi il plateale riconoscimento di pubblico e critica: quelli di Lost in Traslation e di Broken Flowers. Sia il personaggio del film di Sofia Coppola che quello della pellicola di Jim Jarmusch (con cui aveva già collaborato in Coffee and Cigarettes) stanno attraversando una crisi dettata dall’apatia e dalla perdita di se stessi che Murray sa riportare con estrema sensibilità e precisione. “Speri di poter essere vivo, che sarai effettivamente testimone delle cose che ti capitano, che vi parteciperai. E’ meglio di vederti passare la vita davanti, svegliarti il Martedì e chiederti cosa sia successo il Lunedì. Qualunque sia stata la parte migliore della mia vista è il risultato di ciò che ho ricordato.” confessò l’attore in un’intervista, lasciando trapelare quanto le due interpretazioni siano state studiate e gli siano effettivamente appartenute. Il suo volto impassibile, fermo, imperturbabile mentre tutto ciò che è intorno è in movimento rimarrà sicuramente alla memoria come una prova attoriale ineccepibile.

Così diventò il padre spirituale di Wes Anderson
Mentre in sottofondo cominciano a risuonare le note di This time tomorrow dei The Kinks un uomo corre disperatamente dietro ad un treno per poi perderlo. Così si apre Il treno per il Darjeeling, e quell’uomo era proprio Bill Murray. Questa è l’unica scena riservata all’attore in quel film e il ruolo di questo breve cameo rimane ancora elemento di discussione per gli andersoniani: forse era il simbolo di una guida spirituale? A quanto pare proprio questo rappresenta Bill Murray per il regista Wes Anderson che, da quando giovanissimo lo scelse per un ruolo in Rushmore, non lo lasciò più andare assegnandogli anche solo piccole parti per i successivi suoi sei lungometraggi. “Il rapporto tra di noi? Ormai non c’è più la parte romantica. Forse per lui sono più un padre, anche se i miei figli non sarebbero mai ordinati come lui. Wes mi vuole sempre sul set. Anche se la parte è di pochi minuti, lui mi fa stare a disposizione per settimane o mesi. Ormai è sempre così ad ogni film, ci sono abituato.” scherzò Murray all’anteprima di Grand Budapest Hotel. I due artisti si sono influenzati la carriera a vicenda: l’originale regista ha trovato una figura paterna all’interno dell’ordinario star system, l’attore ha avuto l’occasione di tirar fuori tutto ciò che di non convenzionale apparteneva già alla sua personalità. Una collaborazione che ha pochi eguali al cinema il cui picco si trova nell’unico film che vede Murray come protagonista, Le avventure acquatiche di Steve Zissou, dove un uomo parte per un’avventura ritenuta impossibile da tutti tranne che da lui: è sicuramente l’icona romantica dell’indole anticonformista di due geni.

E dunque com’è essere Bill Murray?: “Quindi com’è essere come me? Potete chiedere a voi stessi “Com’è essere me?”. Sapete, il solo modo che conosciamo per essere noi stessi è fare il nostro meglio per essere noi stessi più spesso che possiamo, e ricordare a noi stessi: questa è casa nostra”.

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