Ritratti Black & White: Joaquin Phoenix

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Una stanza che puzza d’investigatore, una predominanza del blu nella luce che la avvolge, e una ragazza che fa il suo ingresso in punta di piedi, quasi a punzecchiare il sonno del protagonista: mai parte fu più azzeccata di quella di Vizio di Forma per il malinconico Joaquin Phoenix, ad oggi indubbiamente uno dei migliori attori esistenti. Come accade spesso, però, il principio del percorso si trova parecchio addietro, ben prima di Paul Thomas Anderson. Per alcuni è difficile collocare Phoenix prima del 2000, anno in cui Ridley Scott ne consacra la fama conferendogli un ruolo da vero “cattivo” e mettendone in bella mostra le doti attoriali. Questo perché non molti ricordano le sue prime esperienze, fra cui va citato come minimo uno dei film minori di Gus Van SantDa Morire, che resta comunque un’opera di tutto rispetto e che vede Joaquin intrattenere una turbolenta relazione sentimentale/sessuale con la bella Nicole Kidman. Non bisogna dimenticare, inoltre, la collaborazione con Oliver Stone nel suo U Turn – Inversione di marcia, altro ruolo che, se vogliamo, si confà alla perfezione al carattere ribelle e solitario del ragazzo.
Tuttavia, superata la fase de Il Gladiatore, abbiamo aspettato fino al 2005 per ritrovare Phoenix in un film e in un ruolo assolutamente indimenticabili: è questo il caso di Quando l’Amore Brucia l’Anima – Walk the Line, pellicola biografica sul grande, compianto Johnny Cash e tratta da ben due delle sue biografie, in cui viene narrata la sua burrascosa storia d’amore con la collega June Carter. Al fianco di un’energica Reese Witherspoon, la cui interpretazione le valse l’Oscar come migliore attrice non protagonista, Joaquin dà sfoggio di un grande studio intorno al personaggio, di un’incredibile attenzione al dettaglio e di una cura profonda nel limare e nel dare forma alle più piccole sfaccettature dell’uomo problematico che va a dipingere, senza trascurare di approfondire il lato puramente emotivo del suo carattere. Il tutto è molto interessante e in qualche modo triste, se pensiamo che a Phoenix è stato chiesto, dopotutto, di interpretare il ruolo di un uomo inviso al padre che, fra le altre cose, ha visto morire il fratello maggiore: proprio come accadde all’attore nel lontano 1993, quando il fratello River venne a mancare a causa di un’overdose. Con ogni probabilità è anche in virtù di ciò che quello del musicista country Johnny Cash resta uno dei migliori ritratti sul curriculum di Phoenix, che per quel ruolo ottenne le nomination al Golden Globe e all’Oscar, vincendo il primo.L’ennesima svolta dell’attore resta senza dubbio la collaborazione con Paul Thomas Anderson, cominciata con The Master, film fra i più audaci del regista, in cui Phoenix interpreta un ex soldato da poco uscito dal trauma della Seconda Guerra Mondiale, con turbe psichiche mai sanate e ingenti problemi al sistema nervoso. A prenderlo sotto la sua amorevole ala è il capo di una setta spirituale, interpretato da men che meno che Philip Seymour Hoffman, il quale cerca di fargli da guida coinvolgendolo nelle sue credenze. L’impressionante interpretazione di Phoenix, coadiuvata da una regia impeccabile e dalla collaborazione con attori del calibro del già citato Hoffman e di Amy Adams, coincide, se vogliamo, col cuore del film, ancora una volta valendogli la candidatura all’Oscar. Phoenix dà ennesima prova di bravura anche un anno dopo in Her di Spike Jonze, in cui l’attore è chiamato a recitare al fianco di un sistema operativo, fermo restando che esso si esprima con la calda voce di Scarlett Johansson. La fragile realtà di un uomo prossimo a firmare le carte del divorzio, in un futuro non troppo lontano, è dipinta con consapevolezza in primis dal regista, incline a sottolineare più che altro la solitudine di quest’individuo in mezzo alla massa che lo circonda, ma soprattutto traspare dalle espressioni sconsolate e dagli occhi stanchi del protagonista, alla fine ben felice di intrattenere un rapporto virtuale pur di uscire dall’orrore della propria condizione.

Il viaggio, per ora, termina con Vizio di forma, sempre di Anderson, ulteriore conferma del talento di Phoenix. Il film, in maniera del tutto originale e incredibilmente scevra da cliché, inquadra un 1970 californiano facendo ruotare intorno a un detective dai modi e dalle abitudini discutibili, una serie di personaggi perfettamente delineati. Phoenix lotta per non venir risucchiato nel suo passato ma, come sempre, il quadro è molto più grande di ciò che sembra, e alla fine il modesto investigatore dovrà soccombere al peso della realtà dei fatti. La particolarità del personaggio e dell’interpretazione dell’attore risiede proprio in questa aperta contraddizione: volere in qualche modo rivivere l’amore per una donna e cercare in tutti i modi di venir meno al fantasma del proprio passato, volontà ovviamente inconciliabili che rendono la performance di Phoenix un vero tripudio di umanità. In quest’ultima parolina magica identifichiamo senza dubbio la qualità del lavoro del nostro attore, in quanto essa racchiude il significato più profondo di ciò che cerchiamo e ricerchiamo in una qualsiasi opera: non solo tecnica, ma stile, dei tratti unici e irripetibili che appartengono a uno solo.

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