Il Condominio dei Cuori Infranti: La Recensione con Michael Pitt e Isabelle Huppert

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Un’opera grottesca e surreale, malinconica e poetica

Un cielo opprimente e cinereo sovrasta un anonimo condominio, avvolto nell’indifferenza e nell’isolamento tipico di quei sobborghi urbani dimenticati da tutti e abbandonati a se stessi, circondati da un’atmosfera stagnante che non dà possibilità di fuga. Ma quella che poteva essere l’ennesima rappresentazione stereotipata di una periferia degradata, si trasforma nel quinto film di Samuel Benchetrit nella celebrazione della più pura umanità, in un’ode malinconica e pungente a chi inciampa, ma cerca di rialzarsi. È lo stesso regista a descrivere Il Condominio dei Cuori Infranti – Asphalte nel ben più azzeccato titolo originale –  come un film sulla caduta:  di un astronauta della NASA (Michael Pitt) sulla Terra, di un’attrice un tempo famosa (Isabelle Huppert) ormai nell’oblio, e di un introverso individuo (Gustave Kervern), costretto temporaneamente a spostarsi su una sedia a rotelle.

Grazie al loro incontro, apparentemente impossibile ma rappresentato con naturalezza,  con altre tre anime solitarie, Benchetrit realizza un’opera grottesca e surreale, malinconica e poetica, che non scade mai in un bieco sentimentalismo.

Ad una sceneggiatura asciutta, quasi minimalista, che preferisce che a parlare sia un silenzio o uno sguardo, corrisponde una regia altrettanto rigorosa, mai invadente, che predilige inquadrature fisse.   Girato in 4:3, il film procede lento, lasciando che sia l’espressività dell’ottimo cast a condurre lo spettatore nel cuore di queste tre improbabili relazioni, spiragli di luci in una desolante realtà, finestre su una quotidianità mai banale.

Presentato con successo al Festival di Cannes e ispirato a due racconti di Chroniques de l’Asphalte, scritti da Benchetrit, Il Condominio dei Cuori Infranti affronta senza troppa pesantezza e con umorismo il tema della solitudine contemporanea e ci ricorda, lasciandoci un sorriso amaro, che nessuno si salva da solo.

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